Ricordo ancora quando un giorno lontano, in un bosco, scambiai una quercia per un fico. Divenni lo zimbello di chi mi accompagnava quella volta… Era chiaro che, se riuscivo a confondere due piante tanto diverse tra loro, non le avevo sicuramente mai degnate di uno sguardo. Mi vergognai così tanto che da allora mi misi con impegno a imparare tutti i nomi degli alberi e a riconoscerli.
Di fatto, il concetto di Plant Blindness non allude tanto al riconoscimento dei nomi delle piante, piuttosto al riconoscerne proprio la presenza. Non è così strano che persino in mezzo a un bosco, si proceda sui nostri passi immersi nella nostra mente. Agganciati al turbinio dei nostri pensieri. Formiamo una barriera fra la nostra esistenza e quella delle piante. Le diamo per scontate. Come fossero tappezzeria. Ce l’hai in casa da sempre e non la vedi più.
Per essere immersi nella Natura, non è sufficiente trovarcisi. Bisogna connettersi a lei con tutto il nostro sentire. E allora se questo può aiutare, imparare il nome delle piante che incrociamo può essere anche d’aiuto. Può stimolare la sete del nostro cervello a imparare e conoscere. Io credo però che la vera conoscenza non stia nell’imprimere associazioni mentali fra nomi e cose. Tutto questo può risultare appagante. Ma connettersi con la Natura è ben altra cosa.
Plant Blindness – cecità verso le piante – è il nome che nel 1998 Elizabeth Schussler e James Wandersee hanno dato alla loro ricerca, in America, dopo anni di studio. Il motivo principale che giustificava questo fenomeno di cecità, a detta loro, non riguarda tanto l’aver trascurato il tema piante nell’educazione scolastica. Si tratta piuttosto di un ripiego biologico. La capacità della nostra mente di assimilare un certo numero di dati visivi limitato per volta e quindi il dare la priorità della nostra attenzione a ciò che motiva la nostra sicurezza e il nostro interesse. Ok la smetto di parlare sul niente. Meglio procedere con esempi.
Quando ci troviamo nel bosco, cosa vorremmo vedere più di ogni cosa? E va bene. Funghi e castagne in questa stagione. Ma di solito ciò che ci auguriamo di incrociare sono cervi, caprioli, scoiattoli marmotte e volpi. Cioè tutto ciò che è più simile a noi, perché animato come noi. Anticamente pare non fosse diverso. Gli uomini si muovevano guardinghi nella Natura. Il loro sguardo era impegnato a scorgere orsi, lupi, serpenti. Pericolo ma anche caccia. Tutto ciò che interessava loro direttamente per sopravvivere.
È ora che cominciamo a fare delle piante il nostro habitat principale. Anche in città.
Gli alberi che costeggiano i viali passano ancora troppo inosservati. Non è raro scoprire che la maggior parte delle persone non sa, che a Torino, dove vivo, ci sono Platani, Tigli, Bagolari, Ippocastani, spesso centenari. Conosciamo il nome delle vie e non quello degli alberi che sono lì da sempre. Li capitozziamo invece, perché ingombrano, e sporcano le macchine posteggiate sotto di loro. Molti Tigli da tempo non fioriscono più.
Poi capita anche che finalmente poniamo il nostro interesse verso il mondo vegetale. Ci innamoriamo delle piante. Ma invece di vederne la loro reale natura, finiamo per umanizzarle. E allora cominciamo a credere che abbiano le nostre stesse necessità. Ci comportiamo come se fossero creature umane da proteggere e finiamo per commettere tanti errori. E allora ci deprimiamo. Pensiamo che esista un pollice verde e uno nero. Cerchiamo l’esperto perché noi non ne capiamo niente. Un esperto che spesso non ci dà quella risposta precisa che cerchiamo. Non ce la darà mai. Perché le piante poco hanno a che fare con il pensiero logico, analitico, con la matematica. Loro sono quanto di più vicino all’origine delle cose. Sono la bellezza e sono il caos. E che lo vogliamo o no, sono quanto di più vicino alla comprensione di tutte le cose. Perché le piante sono un mondo sì complesso. Ma anche molto semplice se vogliamo distaccarci da quell’unico canale cognitivo che crediamo superiore a tutti gli altri. La ragione. Sediamoci di fronte a loro a occhi chiusi e ascoltiamo il loro silenzio. Senza aspettarci niente. Questo è l’unico canale.
Dobbiamo prima possibile prendere coscienza. Che le piante sono la nostra Vera Vita. Cominciamo ad accorgerci che esistono e cominceremo finalmente a capire chi siamo noi. Che senza di loro nemmeno esisteremmo. Io nel mio piccolo, poco per volta, sto proiettando questa visione in un terrazzo. Sempre più simile a un bosco. Avrà alberi sempre più alti e sottobosco nei vasi. Sempre più fitto. Se posso ispirarti almeno un po’, fallo anche tu.